lunedì 30 novembre 2009

mercoledì 25 novembre 2009

venerdì 13 novembre 2009

Wall-e

Hoggi ho visto wall-e per la non so quale volta, e mi è venuta voglia di mettere sue immy, spero vi piacciano. Bacini, bacioni bacetti da tappanasina!





giovedì 12 novembre 2009

Per la mia nipotina!

Ciao a todos! Oggi ho parlato con la mia nipotina e mi ha chiesto di mettere un'immagine de Alessandro Del Piero, e io [da brava zietta che sono] gliele metto. Tanto per farla felice, ne metto 2. Bacini, bacioni bacetti da tappanasina!

martedì 10 novembre 2009

Cuore d'inchiostro

Dato che è il libro che sto leggendo[e ho anche comprato oggi] in questo periodo, voglio mettere qualche pagina di Cuore d'Inchiostro:

Dita di Polvere doveva essersi nascostodietro il muro del cortile che dava sulla strada. Meggie ci si era arrampicata centinaia di volte, divertendosi a camminare in equilibro fino ai cardini arruginiti, a occhi chiusi, immaginando di passare fra le rapide spumeggianti di un fiume in piena per sfuggire a una tigre dalle pupille ambrate, in agguato fra le canne di bambù. Adesso, lì, c'era solo Dita di Polvere. Ma nessun'altra vista avrebbe potuto procurarle un simile tuffo al cuore. Saltò fuori così all'improvviso che rischiò di essere investito. Indossava solo il pullover, le braccia strette intorno al corpo per il freddo. Il cappotto doveva essere ancora bagnato; i capelli, di un biondo rossiccio come la barba, sempre tutti scompigliati sul viso segnato dalle cicatrici. Mo trattenne a stento un'imprecazione, spense il motore e scese dal pulmino. Dita di Polvere gli fece uno dei sorrisi enigmatici e si appoggiò al muro. - Dove vuoi andare, Lingua di Fata? - chiese - Non avevamo un appuntamento noi due? Già una volta mi hai fatto uno scherzetto del genere, ti ricordi? - - Lo sai perchè fretta - replicò Mo - È per lo stesso motivo di allora. - In piedi accanto allo sportello, appariva teso, come chi non vede l'ora di levarsi di torno un intruso. Ma Dita di Polvere si comportava come se non avvertisse la sua impazienza. - Potrei sapere dove sei diretto? - domandò - L'ultima volta ci ho messo quattro anni a ritrovarti, ed è mancato poco che gli uomini di Capricorno ti stanassero prima di me - concluse gettando un'occhiata a Meggie, che la ricambiò con uno sguardo ostile. Mo tacque per qualche istante prima di rispondere. - Capricorno è al Nord - disse infine. - Quindi andiamo a sud. O adesso si è accampato altrove? - Dita di Polvere fissò la strada. Nelle buche luccicava ancora la pioggia caduta durante la notte. - No, no! - si affrettò a precisare. - No, è ancora al Nord. Almeno questo è ciò che si sente in giro. E visto che tu hai evidentemente deciso di non dargli ciò che vuole, anch'io mi metto in marcia al più presto verso sud. Non intendo certo essere quello che gli riferisce la cattiva notizia! Se mi poteste portare con voi per un pezzo... sono pronto a partire! - Le due borse che tirò fuori da dietro il muro sembravano aver fatto il giro del mondo già una decina di volte. Non aveva nient'altro, a parte lo zaino. Meggie serrò le labbra. "No, Mo. Con noi quello non viene." Ma le bastò guardare un attimo suo padre per capire che lui aveva deciso altrimenti. - Dai! - insistette Dita di Polvere. - Se mi riacciuffano, che cosa vado a raccontare a Capricorno? - Aveva l'aria persa di un cane abbandonato. E per quanto Meggie si sforzasse di vedere in lui qualcosa di sinistro, alla pallida luce del mattino non riusciva a trovare niente. Tuttavia non voleva che andasse con loro. E, dall'impressione dipinta sul viso, lo si capiva anche troppo chiaramente, ma nessuno dei due uomini faceva caso a lei. - Credimi, non riuscirò a tenere nascosto a lungo che ti ho visto - proseguì Dita di Polvere. - E inoltre... - indugiò un istante prima di terminare la frase - mi devi un favore, no? - Mo abbassò la testa. Meggie vide la sua mano contrarsi sulla portiera. - Se la pensi così... - disse. - Lo ammetto. Sono in debito con te. - Sul volto tormentato di Dita di Polvere si diffuse un'espressione di sollievo. Si buttò svelto lo zaino in spalla, raccolse le borse e si avvicinò al pulmino. - Aspettate!- gridò Meggie mentre Mo gli andava incontro per aiutarlo a caricare i bagagli. - Se viene con noi, voglio sapere perchè scappiamo. Chi è Capricorno? - Mo si girò verso di lei. - Meggie... - esordì con quel tono di voce che lei conosceva bene e che voleva dire: "Non fare la sciocca. Dai, smettila." Ma la ragazzina aprì la portiera e saltò giù. - Maggie, maledizione! Sali! È ora di andare. - - Solo se mi dici perchè. - Mo fece per afferrarla, ma lei gli sgusciò fra le mani e corse fuori al cancello. - Perchè non me lo dici? - urlò. L via era completamente deserta, come se al mondo non ci fossero altre persone all'infuori di loro. Si era alzato un vento leggero. Le soffiava lieve sul volto e faceva stormire le fronde del tiglio che si ergeva sul ciglio della strada. Il cielo era sempre più grigio e cupo. - Voglio sapere che sta succedendo! - gridò Meggie. - Voglio sapere perchè ci svegliamo alle cinque e perchè non vado a scuola. Voglio sapere se ritorneremo e chi è questo Capricorno. - Quando lo nominò, Mo si guardò in giro come se lo sconosciuto che lui e Dita di Polvere temevano evidentemente così tanto, potesse spuntare all'improvviso. Ma non comparve nessuno, e Meggie in quel momento era troppo furiosa per farsi spaventare da qualcuno di cui conoceva solo il nome. - Finora mi hai sempre detto tutto - continuò. - Sempre. - Mo restò in silenzio per qualche secondo. - Ognuno di noi ha i suoi piccoli segreti - disse infine. - E adesso sali. È ora di andare. - Dita di Polvere squadrò con aria incredula prima lui e poi la ragazzina. - Non le hai raccontato niente? - mormorò. Mo scrollò il capo. - Ma qualcosa le devi pur dire! In fondo non è più una bambina. E poi è pericoloso per lei non sapere nulla. - - Lo è anche saperlo - ribattè Mo. - E non cambierebbe niente. - Meggie era sempre in mezzo alla strada. - Ho sentito tutto - strillò. - Che cosa è pericoloso? Non vengo se non me lo dite. Mo taceva ancora. Dita di Polvere lo scrutò indeciso per un attimo, poi posò a terra le borse. - Va bene. Allora ci penso io. - Lentamente si avvicinò a Meggie. D'istinto lei fece un passo indietro. - L'hai già incontrato anche tu - le spiegò Dita di Polvere. - Tanto tempo fa. Non ti ricordi perchè eri troppo piccola - disse, tenendo le braccia abbassate a dimostrare che non intendeva farle alcun male. - Come ti posso spiegare chi è? Se tu vedessi un gatto divorare un uccellino caduto dal nido, probabilmente piangeresti, no? O cercheresti di salvarlo. Ecco, Capricorno, invece, glielo darebbe in pasto di propsito per vedere come viene dilaniato. Lo sbattere affannoso delle ali, i suoi pigolii disperati... se li gusterebbe come miele da sciogliersi in bocca. - Meggie indietreggiò incespicando, ma Dita di Polvere avanzò ancora verso di lei. - Suppongo che tu non ti diverta a terrorizzare le persone fino a farle tremare così forte da non reggersi più in piedi. Ebbene, non c'è cosa al mondo che dia più piacere a Capricorno. E, malauguramente, tuo padre possiede qualcosa di cui lui vuole impossessarsi a tutti i costi. - Meggie fissò Mo, na lui se ne restava là, davanti a lei, senza dire una parola. - Capricorno non sa rilegare i libri come tuo padre - proseguì Dita di Polvere. - Non ha particolari capacità. Solo una: quella di incutere terrotre. E in questo è un maestro. Vive di questo. Anche e credo non abbia la minima idea di cosa significa sentirsi paralizzare dall'orrore, essere così spaventati da sentirsi piccoli piccoli. Sa invece molto bene come evocare e seminare la paura intorno a sè. Nelle case, nei letti, nel cuore e nella mente delle persone. I suoi uomini la diffondono come annunci di morte che fanno scivolare sotto gli usci, nelle cassette della posta, che affigono sui muri e sulle porte. E, a un certo punto, comincia a trasmettersi da sola, subdola e fetida come la peste. - Dita di Polvere era ormai così vicino a Maggie che la sfiorava. - Capricorno ha tanti sgherri - soggiunse piano. - Alcuni sono con lui da quando erano bambini, e se ordinasse loro di taglirti un orecchio o il naso, lo farebbero senza batter ciglio. Amano vestirsi di nero come i corvi. Solo il comandante, sotto una giacca nera come la pece, porta una camicia bianca. E se dovessi imbatterti in qualcuno di loro, ti consiglio di farti più piccola che puoi. Se avrai fortuna non ti vedranno. Capito? - Meggie annuì. Non riusciva quasi a respirare da tanto le batteva forte il cuore. - Posso compredere che tuo padre non ti abbia mai raccontato di lui - concluse Dita di Polvere guardando Mo. - Anch'io se avessi dei figli, preferirei parlare di persone buone e gentili. - - Lo so che non esistono solo quelle! - protestò Meggie, non riuscendo a impedire che la sua voce fremesse di rabbia. E, forse, anche di sgomento. - Ah, davvero? E come? - Eccolo di nuovo quel sorriso indecifrabile, triste e, al contempo, arrogante. - Hai mai avuto a che fare con un vero cattivo? - - Ho letto di loro. - Dita di Polvere scoppiò a ridere. - Ah, certo, è praticamente la stessa cosa. - Il suo sarcasmo bruciava come le ortiche sulla pelle. Si chinò su Meggie e la fissò dritta negli occhi. - Ti auguro di continuare a incontrarli solo nelle tue letture - mormorò.

venerdì 30 ottobre 2009

Cuori

Metto un pò di immagini di cuori:










E poi la mia preferita:

Giochino

Questo è un giochino che fa ridere da morire[solo a quelli che sono politicamente di sinistra]:
Nel nostro partito politico manteniamo le promesse.
Solo gli imbecilli possono credere che
non lotteremo contro la corruzione.
Perché se c'è qualcosa di sicuro per noi è che
l'onestà e la trasparenza sono fondamentali
per raggiungere i nostri ideali.
Dimostreremo che è una grande stupidità credere che
la mafia continuerà a far parte del nostro governo come in passato
Assicuriamo senza dubbio che
la giustizia sociale sarà il fine principale del nostro mandato.

Nonostante questo, c'è gente stupida che ancora pensa che
si possa continuare a governare con i trucchi della vecchia politica.
Quando assumeremo il potere, faremo il possibile
affinché
finiscano le situazioni di privilegio.
Non permetteremo in nessun modo che
i nostri bambini muoiano di fame.

Compiremo i nostri propositi nonostante
le risorse economiche siano esaurite.
Eserciteremo il potere fino a che
Si capisca da ora che
Siamo il partito di FORZA ITALIA, la nuova politica

ORA PROVATE A RILEGGERE PARTENDO DAL BASSO


Fa ridere da matti! Si era capito che siete la NUOVA POLITICA!!!

In pratica, Berlusconi ci dice così, come sopra di me...
Poi ci giriamo...
... e ci fa così...
... e così!



giovedì 29 ottobre 2009

Occhi

Ho trovato questo testo interessante sugli occhi:

Si narra che gli occhi
siano lo specchio dell'anima, ma non solo...
Si dice che chi possieda occhi verdi sia capace di indagare nel profondo dell'altrui spirito.
E chi possiede occhi chiari (grigi o azzurri) riesca a condividere completamente la propria anima, senza limiti al di là di ogni reticenza.
Chi ha occhi scuri invece si maschera nelle ombre e nasconde il proprio spirito nel profondo delle sue insondabili iridi, celando oscuri segreti e misteriosi poteri scrutatori.
I rarissimi occhi gialli invece celano dietro un velo di menzogna l'arcano potere della preveggenza.
E' dunque facile creare il gioco di sguardi secondo leggenda...
Coloro che guardano attraverso i propri occhi verdi altri occhi verdi, raggiungono la consapevolezza di un emozione con un solo battito di ciglia. Essi potrebbero scrutarsi nel profondo per ore senza mai stancarsi anche se dopo pochi attimi avrebbero già carpito l'essenza.
Occhi chiari di fronte ad occhi verdi sono totalmente inermi. E' uno sguardo a senso unico verso il verde, poichè gli occhi chiari risultano essere come un libro aperto: totalmente liberi di aprire il proprio specchio dell'anima.
4 occhi chiari a confronto sono il simbolo di verità più pura. Due spiriti che si abbracciano vicendevolemente senza limiti e senza legami.
Gli occhi scuri sono i carnefici degli occhi chiari, poichè essi non lasciando trapelare il benchè minimo afflato del proprio spirito si nutrono dell'anima totalmente aperta e libera emanata dalla chiarezza degli altrui occhi che ne restano violentati.
4 occhi scuri che si osservano è come se in realtà non si guardassero affatto, come due muri di pietra l'uno davanti all'altro.
Gli occhi scuri cercano di evitare lo sguardo di occhi verdi poichè temono che essi possano carpire qualcosa facendo breccia attraverso le ben salde difese.
Gli occhi gialli rappresentano il mistero più fitto. Quando i gialli osservano coloro che vestono il verde sugli occhi, si viene a creare una sorta di condivisione, come se i primi volessero avvertire i secondi del proprio futuro lasciandoli penetrare nel profondo della propria consapevolezza.
Occhi gialli guardano gli occhi chiari come sfere di cristallo in cui tutto è rivelato, passato, presente e futuro!
I gialli bramano la sfida dei sfuggevoli occhi scuri. Essi desiderano carpire gli oscuri segreti confusi nell'anima notturna. Gli scuri temono il confronto dello sguardo giallo ben di più di quello verde poichè sanno che le proprie difese risulterebbero vane entro breve.
4 occhi gialli nella rarità del loro incontro non possono far altro che mentirsi, poichè essi si temono e velano il loro potere dietro uno sguardo di follia...

Preso da:
http://kirythealchemist.spaces.live.com/blog/cns!A2565C5A972C0F91!984.entry
che l'ha preso da: http://lantrodelmistero.spaces.live.com/




Senza ritorno

Ormai in classe, anzichè seguire le lezioni scrivo [pensate quanto sono interessanti!]. Questo è il lavoretto di tutte le cinque ore.

I gemelli si guardarono soddisfatti. Il loro ultimo piano d'evasione era pronto. Dopo il loro ultimo tentativo di fuga avevano deciso che non sarebbero più andati via dalle torri alte, sia perché sarebbero potuti cadere, sia perché gli avrebbero potuto lanciare delle frecce maledette. «Sento che questa sarà la volta buona!» disse Cordothren «Ma comunque, cosa faremo dopo?» «Come cosa faremo dopo?! Ne abbiamo parlato anche prima: cercheremo un altro mago e chiederemo una seduta col SUPREMO; gli diremo dov'è e come si arriva al palazzo e poi succederà quel che succederà, no?» «Lo so, non l'ho dimenticato. Ma intendo, cosa faremo
dopo quello? Non abbiamo niente negli altri Continenti e nell'Arcipelago» «Già non ci avevo pensato...» rispose Gothen. In quel momento qualcuno bussò alla porta. «Avanti!» Nella camera entrò un uomo alto e robusto, coi capelli castani e unticci, gli occhi gialli e la carnagione olivastra. Parlò ai figli con la sua voce gracchiante «Devo partire. Oggi sarei dovuto andare ad una cena per accogliere dei cavalieri venuti in nostro aiuto. Ci andrete voi al posto mio. E non combinate guai.» concluse severo sbattendo la porta alle sue spalle. «Però una cosa certa c'è. Cosa o persona peggiore di nostro padre non esiste altrove!» sentenziò Gothen sorridendo.

«Dovete prepararvi per la cena, signorini» disse una cameriera da dietro il portone. Allora i bambini presero dei giustacuore nero con dei pantaloni coordinati. Nella sala da pranzo c'erano otto uomini con delle tuniche stranamente bianche e una corona ricamata in grigio. «I figli di Algor! Benvenuti, prego, sedetevi» disse un uomo sorridente, coi capelli biondi e ricci, gli occhi viola ametista, la pelle dorata, alzando un boccale. Gli altri sette lo imitarono e ne bevvero un lungo sorso. Poi i gemelli si sedettero, e tutti incominciarono a servirsi. C'era poco chiasso, ogni tanto qualcuno parlava o rideva, finchè l'uomo di prima parlò. «Sono famose le vostre fughe. Come mai questo grande odio verso vostro padre, il palazzo e tutto ciò che ha a che fare con lo ZAR?» «È affar nostro il perchè di questo, messere» «Dopotutto ognuno ha i suoi scheletri nell'armadio, ed è meglio che rimangano lì dove sono i nostri. Mi creda, è meglio così» risposero all'unisono i bambini, abbastanza seccati. Dopo quell'intervento, nessuno diede più fastidio ai gemelli. Alla fine della cena, gli otto cavalieri andarono nelle loro stanze, i due bambini fecero altrettanto. Ma a tarda notte uscirono silenziosi e s'incamminarono verso le segrete. Cordothren sentì un sibilo da dietro, si fermò a scrutare nel buio del corridoio. Toccò la spalla al fratello «Sembra che qualcuno ci segua» «Non possiamo fare niente, ci scoprirebbero sennò. Per ora cerchiamo di far perdere le nostre tracce» E allora iniziarono a girare per vari corridoi, finchè non furono sicuri di non essere più seguiti. «Adesso possiamo anche tornare verso il corridoio est» disse Gothen sottovoce. Svoltarono a destra un paio di volte, e si ritrovarono a vagare nuovamente in cerca della retta via. Un urlo fendette il silenzio della notte. «Cos'è stato? Se si accorgono che non siamo a letto saranno guai» «Allora sbrighiamoci a trovare la cella giusta e filiamocela!» corsero finchè non trovarono la cella dove avevano creato un passaggio che portava fuori, all'agognata libertà. Entrarono nella cella e chiusero le sbarre di ferro, spostarono sette pietroni e sgattaiolarono fuori, le pietre rimasero lì dov'erano. I bambini corsero felici nel fitto del bosco. Quando sentirono un altro urlo era già tropopo tardi per difendersi dagli otto cavalieri che li seguivano con delle spade sguainate. Un uomo li ferì alle spalle, e caddero rovinosamente sulle radici di un albero. «Non siete qui per aiutare nella guerra, ma per sorvergliarci. Vero?» chiese Cordothren col fiato mozzato. «L'avete capito finalmente» disse uno «Vi riportiamo da papà, e anche in fretta» «
Petra» «Even» alcuni cavalieri s'immabilizzarono e attorno ai gemelli c'era una lucina verde. Si alzarono in fretta e ripresero la corsa «Cosa facciamo con quelli?» «Non lo so!» All'orizzonte s'intravvedeva il porto. I cavalieri erano dietro e si avvicinavano inesorabilmente. Erano rimasti in cinque, gli altri erano ancora sotto l'effetto dell'incantesimo. Si gettarono sui fuggiaschi, ma Cordothren si liberò in fretta dalla presa del cavaliere. Gothen era schiacciato in terra dagli altri quattro. Cordothren si girò dal fratello «Lereo!» e divenne viscido e scivoloso, si liberò anche lui e corsero assieme. «Prendiamo gli archi» dissero da dietro, e subito dopo, varie frecce vennero lanciate ai due. Una prese Gothen alla spalla, già ferita, e un'altra alla gamba. Inciampò sui suoi stessi piedi. Lo presero per i capelli, ormai era in loro pugno. Perdeva molto sangue e non aveva più la forza per opporsi. L'altro lo gurdò incredulo per un secondo mentre sorrideva, e capì che aveva deciso che sarebbe rimasto là, per garantire a lui la salvezza. «Refle!» furono le sue ultime parole, e il tempo si fermò. Si diresse più veloce che poteva al porto ringraziando il fratello, anche se non poteva sentirlo e forse sarebbe stata l'ultima volta che si sarebbero visti.


Non l'ho potuto fare molto lungo perchè un pò dovevo seguirla la lezione! Anche questo è dedicato alla mia amichetta del cuore e alla mia "nipo". Bacini, bacioni bacetti da tappanasina!

mercoledì 28 ottobre 2009

Gemelli identici

Ciau! Oggi cercando su qualche sito ho trovato questo articolo:
I GEMELLI IDENTICI

Una mente sola per due corpi
All'età di sei anni Jim Lewis seppe che in giro per il mondo aveva un fratello gemello identico a lui. La mamma, una ragazza madre, li aveva dati in adozione subito dopo il parto, nell'agosto del 1939. Jim era stato adottato da una coppia di nome Lewis a Lima, nell'Ohio; il fratello, dalla famiglia Springer di Dayton, sempre nell'Ohio. Singolarmente, tutti e due erano stati chiamati Jim dai genitori adottivi. Nel 1979, all'età di trentanove anni, Jim aveva deciso di mettersi sulle tracce del fratello gemello. Il tribunale dei minori che si era occupato del caso aveva collaborato in modo decisivo e così dopo sole sei
settimane Jim Lewis bussava alla porta di casa di Jim Springer a Dayton.
Nel momento in cui si erano stretti la mano si erano sentiti così uniti e vicini che sembrava non fossero mai stati divisi. E quando presero a raccontarsi le loro vite venne fuori una serie di coincidenze a dir poco strabilianti. Tanto per incominciare, avevano gli stessi problemi di salute. Ambedue si mangiavano le unghie con accanimento e soffrivano di insonnia. Tutti e due per un certo periodo a diciotto anni avevano incominciato a soffrire di emicrania, fastidio che li aveva lasciati nello stesso periodo. Ambedue avevano problemi di cuore e di emorroidi. Avevano lo stesso peso, ma avevano messo su qualche chilo di troppo nello stesso anno, per poi riuscire a smaltirli nello stesso periodo. Tutto questo sembra indicare che la programmazione genetica è qualcosa di assai più preciso e complicato di quanto si immagini. Ma la sommatoria delle coincidenze andava ben oltre gli aspetti genetici. Tutti e due si erano sposati con donne di nome Linda, erano separati, e risposati in seconde nozze con compagne di nome Betty. Avevano chiamato i figli James Allan e avevano un cane di nome Toy. Ambedue avevano avuto esperienze lavorative come assistente dello sceriffo, benzinaio e addetto in un locale McDonald. Tutti e due trascorrevano le vacanze estive sulla stessa spiaggia della Florida; fumavano la stessa marca di sigarette e avevano attrezzato la cantina per eseguire lavori di riparazione e costruzione di piccoli mobili... I due erano affascinati l'uno dall'altro, non soltanto a causa di tutte quelle incredibili identità, ma anche perché l'affinità si sviluppava pure sul piano mentale. Quando uno iniziava a dire qualcosa l'altro finiva la frase con le stesse parole che avrebbe usato il primo. Il loro ritrovarsi divenne oggetto di grande interesse presso i mass media e i due fratelli erano comparsi come ospiti d'onore a molti popolari show. Uno psicologo del Minnesota, di nome Tom Bouchard, venne così coinvolto dalla loro storia da riuscire a persuadere l'università a stanziare fondi per una ricerca scientifica sul mistero dei fratelli gemelli. La prima operazione era stata quella di mettersi alla caccia di coppie di gemelli che il destino aveva separato in tenera età e che da allora non si erano mai più incontrati. Nel primo anno di ricerca Bouchard e il suo team riuscirono a scovare trentaquattro coppie di gemelli. E anche in questi casi vennero fuori le coincidenze più incredibili, tali da non poter essere in alcun modo spiegate a livello scientifico. Due gemelle inglesi, incontratesi quando ormai erano donne sulla trentina, si erano sposate nello stesso giorno a un'ora di distanza l'una dall'altra. Altre due, avevano tenuto un diario per un solo anno, il 1962, e lo avevano chiuso nello stesso giorno. Tutte e due da piccole suonavano il piano, ma avevano smesso nello stesso momento; andavano ambedue pazze per la bigiotteria. Al pari di questa, tutte le altre ricerche successive sui gemelli separati hanno sempre rivelato coincidenze impressionanti. I gemelli identici, come si sa, sono quelli che nascono dalla scissione dello stesso ovulo. I loro geni sono pertanto identici, il che significa possedere occhi, orecchie, labbra e persino impronte digitali perfettamente eguali. Il termine scientifico per indicarli è monozigoti, o MZ per brevità; mentre quelli nati da due ovuli differenti sono detti dizigoti, o DZ. L'alto grado di complementarietà e identificazione si riscontra soprattutto presso il primo gruppo, dove le somiglianze sono a volte indistinguibili. Per esempio, due coppie formate da gemelli divisi avevano figli maschi che si chiamavano rispettivamente Richard Andrew e Andrew Richard. Ambedue usavano lo stesso profumo, lasciavano la porta della camera da letto socchiusa, collezionavano giocattoli di pezza e avevano gatti che si chiamavano Tigre. Il test di intelligenza rivelò valori assolutamente identici. Barbara Herbert e Daphne Doodship erano le sorelle gemelle di una ragazza madre di origine finlandese. Alla nascita erano state adottate da due diverse famiglie. Le due madri adottive erano morte in modo prematuro quando loro erano ancora piccole. Tutte e due all'età di quindici anni erano cadute dalle scale e si erano rotte un'anca, avevano incontrato l'uomo che sarebbe diventato il loro marito a una festa da ballo quando avevano diciassette anni e si erano sposate a venti. Ambedue avevano avuto degli aborti e per tutte e due la sequenza naturale dei figli sarebbe stata di due maschi seguiti da una femmina. Il quadro sanitario era identico. Un soffio al cuore e la tiroide un po' ingrossata. Tutte e due leggevano la stessa rivista femminile ed amavano la stessa scrittrice di romanzi rosa. La prima volta in cui si erano ritrovate si erano presentate all'appuntamento con la stessa tinta dei capelli, un colore castano chiaro con dei riflessi ramati, erano vestite con un abito color crema, una giacca di velluto scura e una sottoveste bianca.
Nel 1979 Jeanette Hamilton e Irene Read scoprirono contemporaneamente di avere una sorella gemella e contemporaneamente si misero alla ricerca l'una dell'altra. Ritrovatesi, scoprirono che tutte e due soffrivano di claustrofobia e di timor panico per l'acqua, tanto che quando erano in spiaggia erano solite sedersi voltando le spalle al mare. Ad ambedue non piaceva la montagna, soffrivano di un dolore reumatico che pativa il tempo umido nello stesso punto di una gamba; da giovani avevano guidato gruppi di scout e per un certo periodo avevano lavorato per la stessa ditta di cosmetici. Un'altra coppia di gemelli identici, questa volta di sesso maschile, studiata da Bouchard era vissuta in ambienti così diversi da non presentare neppure un punto in comune. Oscar Stohr e Jack Yufe erano nati a Trinidad nel 1933. Immediatamente i genitori si erano separati e ciascuno se n'era andato per la propria strada prendendosi un bambino. Oscar era approdato in Germania ed era diventato un affiliato al movimento filo nazista; mentre Jack era stato allevato con un'educazione ebreo ortodossa. Si incontrarono per la prima volta nel 1979 all'aeroporto, per scoprire che ambedue portavano un paio di occhiali dalle lenti squadrate, una canottiera blu e basette identiche. Una comparazione più dettagliata evidenziò molte altre coincidenze significative nel loro modo di vivere. Ambedue erano soliti tirare l'acqua del gabinetto prima e dopo l’uso, portavano delle fasce elasticizzate ai polsi e amavano pranzare da soli al ristorante per poter leggere il giornale indisturbati. La cadenza del loro modo di parlare era identica, anche se uno parlava solo tedesco e l'altro inglese. Avevano la stessa andatura e lo stesso modo di stare seduti; lo stesso senso dello humour: per esempio, starnutire apposta con grande fragore mentre erano in ascensore con altre persone, per ridere sotto i baffi alle diverse reazioni. Ovviamente è molto difficile, per non dire impossibile, riuscire a spiegare queste "coincidenze" senza pensare immediatamente a una qualche forma di telepatia - che è una sorta di collegamento invisibile fra i due gemelli - capace di funzionare alla perfezione anche a grande distanza. Non per niente, Jung, a cui dobbiamo l'invenzione del neologismo "'sincronicità" per significare una "coincidenza significativa'', accettava volentieri l'ipotesi telepatica, tanto è vero che nelle sue molte biografie aneddoti di questo tipo vengono fuori numerosi. Eppure anche la più potente forma di telepatia non riesce a dare ragione di come due sorelle lontane possano incontrare il rispettivo marito nello stesso giorno e in circostanze simili oppure lavorino a chilometri di distanza per la stessa casa di cosmetici. In questi casi, anche le coincidenze significative sembra debbano lasciare il passo a qualcosa di ancora più forte, come, per esempio, l'idea di "destino individuale" o ciò che il professor Joad ebbe una volta a definire come «l'impenetrabile singolarità del tempo». Ammesso che certe persone abbiano veramente la capacità di prevedere il futuro, sia in stato di veglia che di sonno, ciò significa che in qualche modo a noi ignoto tutto è già "programmato", come un film che già è stato girato. Se, dunque, la vita di un uomo è qualcosa di programmato, allora a maggior ragione quella di due fratelli gemelli identici - specie se monozigoti - potrebbe benissimo seguire tracce di coincidenze esistenziali...
Molti altri casi analoghi hanno dimostrato l'esistenza certa della telepatia. Nel 1980 due gemelle identiche si presentarono presso il tribunale di New York. Il loro comportamento era uno spettacolo straordinario, che non mancò di suscitare un grande interesse nei mass media. Facevano gli stessi gesti nello stesso istante, portavano la mano alla bocca contemporaneamente e così via. Le due sorelle Chaplin, Preda e Creta, erano venute a trovarsi in dibattimento per un motivo davvero strano: una storia che le accomunava con un certo Ken Iveson, un camionista vicino di casa che avevano perseguitato per oltre quindici anni. Le due avevano uno strano modo di mostrargli il loro amore, continuando a ingiuriarlo e a picchiarlo con le borsette. Quando la faccenda aveva superato ogni limite, l'uomo non ce l'aveva più fatta e si era rivolto al tribunale per ottenere giustizia. La pubblicità sollevata dal caso rinfocolò l'attenzione sulle ricerche sui gemelli. L'ossessione che le due donne mostravano nei confronti del signor Iveson venne riconosciuta come una erotomania, una condizione nella quale il paziente si abbandona a sentimenti di melanconia e tristezza a causa di un'affezione amorosa. Esami clinici rivelarono che le gemelle erano subnormali, anche se questa deficienza si era manifestata soltanto negli ultimi tempi. A scuola erano lente, ma non somare, e gli insegnanti le descrivevano come attente, compite e tranquille. Per il giudice che ebbe a sentenziare, tutto questo era colpa della madre adottiva. «È evidente che la madre non ha mai consentito loro di vivere come due entità separate e distinte». Si vestivano sempre allo stesso modo e non avevano amici. Nei gemelli, soprattutto in quelli monozigoti, è fortissimo l'impulso detto dell'immagine speculare". (Il che significa che se uno è mancino, l'altro è destro; se uno pettina i capelli verso sinistra, l'altro lo fa verso destra e via dicendo). Se uno dei due porta un bracciale al polso sinistro, l'altro lo porta al destro. Ad un certo punto della vita le due gemelle Chaplin avevano deciso di lasciare la casa dove erano cresciute, senza che né la madre né, tanto meno, loro stesse, sapessero perché. A trentasette anni erano ancora nubili e senza lavoro. Vivevano nella stanza di un residence. Preparavano da mangiare insieme, tenendo tutte e due il manico della pentola, vestite da casa nello stesso modo. Se, per caso, gli abiti identici che indossavano avevano però bottoni di diverso colore, li distribuivano in modo tale che anche quel particolare fosse identico per tutti e due i vestiti. Nel caso di due paia di guanti diversi, li spaiavano per indossarne alla fine un paio identico; se le saponette che il residence forniva non erano uguali, le spezzavano in due. Ad un giornalista che le intervistava dissero che loro due avevano una sola testa, perché erano una persona sola. Una sapeva dire esattamente che cosa stava passando nella mente dell'altra. Il loro "comportamento simultaneo" dimostrava l'esistenza di una forte componente telepatica. A volte litigavano. Dopo essersi colpite con le identiche borsette, si tenevano il broncio per ore. Ma, al di là di tutto questo, ciò che emergeva su ogni cosa era il fatto che vivevano escludendo il mondo esterno, rintanate in un loro universo intimo e privato dove esistevano solo loro due.
Due gemelle californiane, Grace e Virginia Kennedy, avevano messo a punto un linguaggio segreto che consentiva loro di capirsi al volo. Avevano incominciato a usarlo da piccolissime, sin da quando avevano meno di due anni. Nel J977, all'età di sette anni, un logopedista di San Diego si era interessato ai loro linguaggio segreto, scoprendo che in parte consisteva di parole completamente inventate come, per esempio, "nunukid" e "pulana" - e in parte in una mistura di parole in tedesco e inglese storpiate (i genitori provenivano infatti da questi paesi). Fra loro si chiamavano Poto e Cabenga e quando parlavano la loro lingua occulta lo facevano con straordinaria fluidità. Ovviamente la vita le costringeva a parlare l'inglese, ma non fecero mai a meno dell'idioma di loro invenzione, che rifiutarono sempre di spiegare, forse anche perché non erano in grado di farlo.
Uno dei casi più singolari in cui sono coinvolti due gemelli identici è questo: Michael e John, conosciuti molto semplicemente come "i gemelli", erano cresciuti in istituti governativi sin da quando avevano sette anni (nel 1947). Erano stati diagnosticati autistici, psicotici e gravemente ritardati. Tuttavia possedevano un'abilità eccezionale: la capacità di dire all'istante in quale giorno della settimana cadeva una determinata data, sia nel passato che nel futuro. Se, per esempio, qualcuno chiedeva loro che giorno era stato, che so, il 2 giugno del 55 d.C., in un attimo arrivava la risposta: «mercoledì» e non c'era tema che sbagliassero. Erano, secondo Sachs, come due oggetti animati esattamente identici, stessa faccia, stesso comportamento, stessa personalità, stesso cervello malato. Portavano occhiali così spessi da non lasciare quasi scorgere gli occhi. Riuscivano a ripetere a memoria, dopo averli ascoltati una sola volta, elenchi di numeri incredibili, a volte fino a trecento. Non erano però dei ''calcolatori prodigio", capaci, come a volte capita di trovare, di moltiplicare mentalmente grandi numeri fra loro o di estrarre la radice quadrata da numeri di venti cifre. Tuttavia, un giorno davanti a una scatola di fiammiferi improvvisamente rovesciatasi, ambedue simultaneamente avevano bisbigliato «111», numero che, naturalmente, si era rivelato corretto. Un giorno Sachs li aveva trovati seduti in un angolo, il viso illuminato da un sorriso di soddisfazione, intenti a trascrivere numeri di sei cifre. Sachs ne aveva annotati alcuni e una volta a casa, consultato un libro di tavole matematiche, aveva scoperto trattarsi tutti di numeri primi, vale a dire quei numeri che non possono essere divisi per nessun altro numero se non per uno e per se stessi. Ora, la cosa incredibile consiste nel fatto che per poter riconoscere un numero primo come tale, l'unico modo per farlo è provare a dividerlo per tutti i numeri inferiori che lo precedono, mettendo in atto un processo matematico lunghissimo nel caso di numeri a molte cifre. Dunque i due gemelli riuscivano a riconoscere i numeri primi senza sforzo apparente. Il giorno dopo Sachs era nuovamente andato a trovarli e si era seduto nella loro cameretta. All'improvviso aveva interrotto i loro giochi e aveva mostrato un numero primo formato da otto cifre (ovviamente preso dal testo di matematica consultato). Dopo un brevissimo istante di attenzione, i due gemelli avevano sorriso all'unisono, quindi in men che non si dica gli avevano sciorinato davanti agli occhi un numero di nove cifre. Sachs allora era passato al contrattacco con un altro da dieci. Di nuovo, lasciato trascorrere un momento di esitazione, John gliene aveva proposto uno da venti cifre, che Sachs non aveva potuto controllare, dal momento che il suo testo arrivava solo fino a numeri primi composti da dieci cifre, ma era sicuro che non si sbagliavano. Un'ora dopo erano ancora intenti a scoprire numeri primi da venti cifre. Che cosa era successo nella testa dei gemelli nei brevissimi istanti in cui erano rimasti perplessi quando Sachs aveva mostrato loro il numero primo di otto cifre? L'unica cosa che si può immaginare è che si siano sforzati di vedere, vale a dire di osservarlo sotto qualche forma, diciamo così simmetrica, in fine di verificare se avesse le proprietà del numero primo. Alcune persone dicono di visualizzare i numeri in modi singolari. Il 9 o il 16, per esempio, lo vedono come una serie di punti disposti nel primo caso a tre per tre su tre linee parallele e nel secondo a quattro per quattro su quattro linee. Forse i gemelli riuscivano a compiere questa operazione istantanea su vasta scala. Questo ci offre un importante spunto di riflessione. Sappiamo che i due emisferi del nostro cervello presiedono a funzioni differenti. Il sinistro può essere definito scientifico, il destro artistico. Il primo concerne la logica e il linguaggio, il secondo l'intuizione e l'interiorità. Il sinistro vede il mondo con un occhio ristretto, una visione che potremmo definire "del verme"; il destro allargato, nel tipo di visione che possiamo definire "dell'uccello". Nella nostra attuale civiltà è la visione del sinistro a prevalere. È qui che risiede il mio senso di identità, così che quando uso la parola "io", so per certo che a parlare è il lobo sinistro. Nella maggior parte degli uomini le potenzialità del lobo destro - come, per esempio, la capacità di distinguere le forme - è limitata, soverchiata da quella del lobo sinistro. Nel caso dei gemelli in questione è invece chiaro il contrario: l’attività della parte sinistra è limitata, mentre le potenzialità della destra si sono sviluppate in ragione di centinaia di volte rispetto al resto di noi. Una delle lezioni che sicuramente lo studio dei gemelli identici ci impartisce, sta nel riconoscere che la continua, instancabile attività del lobo sinistro tipica della nostra civiltà, ha quasi totalmente bloccato la manifestazione dei poteri, chiamiamoli "naturali" della parte destra e la capacità di osservare il mondo con l'occhio di "un uccello", ossia con un telescopio invece che col microscopio, come siamo soliti fare. E casi eccezionali come quello ricordato dei gemelli Jim - in cui le stesse cose accadute a uno sono accadute anche all'altro, pur non essendosi mai incontrati e pur trovandosi a chilometri di distanza - sembrano ricordarci l'esistenza di leggi e codici preposti a sovrintendere agli accadimenti della vita di cui né scienziati né filosofi hanno anche solo lontanamente immaginato o previsto l'esistenza.

Preso da: http://www.misterieleggende.com/fatti_reali/gemelli_identici.php
È un pò lunghetto ma molto interessante!

lunedì 26 ottobre 2009

La fuga

Questo è quello che facevo durante la lezione d'inglese della Stecchi... scrivevo! Dato che non so cosa fare ricopio il mio testo[un pò l'ho completato qui a casa.]

Era ormai notte. Gothen correva nella foresta.
Non riuscirò mai a sappare da qui se continua così! pensava ogni volta che inciampava. Le sentille che lo cercavano facevano sempre prù rumore «Accendete più fiaccole! Non si vede più niente! Veloci!» ormai era braccato da un giorno da tutte le guardie della fortezza, e le sue possibilità di salvezza diminuivano di ora in ora. La luce attorno a lui era sempre più forte, «Vedo qualcosa che si muove, capitano!» urlò una guardia da lontano. Gothen sentì una frecca che gli passava a pochi centimetri dalla testa. È finita... fu il suo ultimo pensiero, poi cadde a terra e sentì le braccia di qualcuno afferrargli i capelli, dopo, più niente.

Il sole era ormai alto nel cielo quando il ragazzo si svegliò
«Ben svegliato bell'addormentato!» gracchiò una voce. Lentamente, Gothen aprì gli occhi, la luce gli feriva gli occhi «Chi sei?» chiese con voce flebile. «Sono tuo padre» «Dove sono!» «Nelle tue camere» «Perchè mi avete riportato qui?» «Perchè hai visto la ZAR, hai avuto un grande onore, neanche io so com'è. E vedendolo gli hai giurato di servirlo fedelmente. Non dovrai mai svelare la sua identità, ti uccideranno se lo farai» «Non voglio, so cosa vuole e io non glielo darò» «Devi invece!» «Perchè non ti è mai interessato prenderti cura di me e Cordothren? E adesso mi incoraggi a servirlo?! Sai bene che sarei fuggito anch'io quel giorno, e ho sempre odiato questo posto» «Ormai non puoi più tornare indietro!» concluse rabbioso il padre uscendo dalla porta. A Gothen rimase un sorriseto stupido in viso. Non era mai andato daccordo col padre, non gli aveva mai dato ascolto, perchè avrebbe dovuto farlo adesso? Benchè fosse sempre stato scalmanato non voleva uccidere. E per di più alla sua età... aveva solo 14 anni. Si accorse solo in quel momento di avere un lungo taglio vicino alle labbra e l'occhio destro gli bruciava. Da quando il suo simbolo si era mostrato, veniva guardato con disprezzo da tutti, come poteva il figlio di un potente generale dell'esercito dello ZAR, avere il simbolo di VITA?! La VITA che era il simbolo assoluto del bene, faceva ridere quella coincidenza. Ormai sapeva che poteva solo cercare di scappare, come aveva sempre fatto del resto. Doveva organizzare un nuovo piano di evasione. Il torrione era sorvegliato solo quattro ore al giorno, ed era l'unico posto[assieme al portone centrale] da cui non aveva ancora tentato la fuga. Si, aveva deciso che avrebbe tentato lì, tanto ormai non aveva altro da perdere! Gothen si alzò cauto dal letto e si avvicinò allo specchio zoppicando. Nel vetro non c'era più il bambino dalle guance paffute che nascondeva le armi ai soldati, toglieva i ferri dai cavalli o stracciava i fogli nel tavolo del padre assieme al fratello. Già, suo fratello, il suo gemello, Cordothren. Non si vedevano più da cinque lunghissimi anni, chissà se erano ancora così uguali come quando si erano lasciati. Era riflesso un ragazzo con i capelli neri, infangati e insanguinati, gli occhi nerissimi [non c'era distinzione tra iride e pupilla], la pelle chiarissima, il viso smorto e attorno all'occhio era disegnata una goccia rivolta verso il basso dal contorno nero. E rimase a fissarsi allo specchio finchè non calò la notte.
Mezzanotte era passata, le guardie fuori dal portone d'ingresso erano poche, e nel torrione il turno di guardia era finito da un pò di tempo. Gothen avanzava piano verso l'uscita delle sue camere. Dalla sua ultima fuga c'era una guardia che lo controllava giorno e notte. Ma al ragazzo bastò uno schiocco di dita e l'uomo cadde a terra senza fare un lamento. Fece così con tutte le guardie che incontrava, cadevano a terra incoscienti uno dopo uno fino al torrione centrale. Come aveva previsto, il torrione era sguarnito di guardie e fu facile arrivare alla piccola porta che portava finalmente all'aria aperta e fredda della notte. Fuori, Gothen, si sentì più libero che mai, anche se gli era sembrato strano che il percorso fosse stato troppo facile. Infatti, nascosto nel fitto della foresta che circondava il palazzo, c'era una dozzina di soldati ad attenderlo. Questi, sorrisero feroci al fuggiasco «Credevi che fosse sguarnito il torrione?» disse il più grosso, mentre si avvicinava «La tua magia non servirà a farti fuggire» continuò brandendo un'alabarda. Gli altri undici lo imitarono, brandendo spade, ascie e spadoni a due mani. Il ragazzo fu svelto alzando la mano contro quattro soldati e urlandogli contro «Petra!» e s'immobilizzarono, gli altri otto non si fecero intimorire e avanzarono verso di lui. Quello alla sua destra gli saltò al collo puntandoli un pugnale alla gola. La fredda lama strisciava nel collo, e Gothen sussurrò al soldato «Lereo» che divenne subitò viscido e gommoso, perciò mollò la presa e cadde a terra inerme. Il ragazzo fece così anche con gli altri, finchè non rimase solo il soldato che gli aveva rivolto prima la parola. «Cosa dicevi prima a proposito della mia magia?» «Brutto ragazzino impertinente!» urlò di rabbia l'uomo Lanciandosi alla carica verso di lui. Gothen cercava di spostarsi dai colpi dell'uomo e prendere il tempo sufficiente per lanciarli qualche incantesimo, ma non ci riuscì, si procurò solo un altro taglio vicino alle labbra. L'unico modo per scappare era che uno dei due perisse all'istante, allora il ragazzo decise che doveva farlo, anche se non voleva. A volte ci sono momenti che vieni messo a dura prova, o vivi, o muori. Quasi con terrore alzò la mano e sussurrò con voce strozzata
«Efecto» e il soldato sbiancò di colpo, cadendo a terra con lo sguardo perso nel vuoto e un rivolo di sangue che gli usciva dalla bocca. Gothen corse via, senza guardare quell'uomo, e sperando che il porto fosse vicino. Verso l'alba, il fuggiasco vide all'orizzonte il mare e un porto. Anche se allo stremo delle forze, corse più veloce che potè e arrivò vicino ad un vascello. Lì, riuscì a entrare di nascosto nella stiva e a nascondersi per bene tra le merci. Quando la nave salpò, Gothen tirò un sospiro di solievo, era in salvo, libero, e niente lo avrebbe più potuto fermare. Avrebbe solo dovuto ritrovare Cordothren e la sua vita sarebbe tornata alla normalità. Ma aveva ucciso per meritarsi quella libertà, e anche se involontariamente, aveva fatto ciò che lo ZAR gli aveva chiesto di fare per mostrargli totale fedeltà.



Finito! Spero piaccia a tutti e lo dedico alla mia amichetta del cuore! Bacini, bacioni bacetti, da tappanasina!